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Caratteristiche fono-morfo-sintattiche
del dialetto viestano.

A chi si accinga a ripensare il nostro dialetto risaltano con immediatezza le seguenti caratteristiche:

  1. tendenza fonetica verso le lingue illiriche. Ed è proprio per richiamare visivamente l'origine del dialetto da tali lingue, che si è preferito adottare, ove era il caso, segni linguistici slavi;
  2. patrimonio lessicale di base impiantato sul latino con adattamento successivo sulle principali lingue romanze (italiano, francese, spagnolo ecc.);
  3. struttura sintattico-grammaticale molto semplificata.

Sommario.

Fonetica.

I suoni vocalici comprendono, oltre alle cinque vocali italiane:

La vocalizzazione dialettale non conosce il caos fonetico derivante dalla dittongazione delle vocali nei prestiti linguistici (tipo soul e saul per solo o chiòine e chieune per pieno dell'area molisana-barese). Le vocali o sono assenti del tutto (e ed i atone all'interno di parola, ovvero tutte in fine di parola) oppure vengono variate in modo chiaro, Ciò rivela uno spirito imitativo il più fedele possibile alla parlata corretta dominante, senza dover rinunciare alle fondamentali peculiarità di un autonomo adattamento.
I suoni consonantici si trovano tutti nella lingua italiana. ad eccezione dei fonemi esplosivi palatali chy e ghy (2).

Come nelle lingue illiriche, è normale imbattersi in termini pluriconsonantici, ovvero in parole che contengono quattro o cinque consonanti mute di seguito:

E ciò per la tendenza dialettale a "mangiarsi", nei vocaboli polisillabi, le vocali atone.

Nei confronti dell'italiano si notano le seguenti assimilazioni e mutazioni consonantiche:

Patrimonio lessicale di base (Grundwortschatz).

Il lessico, fondato sul latino (5), ha assorbito durante la dominazione spagnola una vistosa quantità di termini di questa lingua:

É altresì spagnolesco usare il verbo tenere al posto di avere per indicare possesso:

Peraltro risultano conservati termini:

Grammatica e sintassi.

La struttura sintattico-grammaticale è molto semplice:

Tale peculiare costruzione per indicare il tempo futuro lascia congetturarsi quale retaggio dell'archetipo indoeuropeo, atteso che appare tutt'oggi nelle lingue europee da esso derivate:

Le locuzioni in discorso indicano infatti un'azione necessaria (ho da comprare = devo comprare), ma che logicamente non può che avvenire al futuro.
Nel dialetto il verbo dovere non esiste e quindi l'espressione àgghy a ší vale in italiano per devo andare e andrò.
Nei dialetti meridionali italiani il futuro perifrastico appare solo nella Basilicata orientale (9).

Considerazioni finali.

In conclusione il dialetto viestano, pur assestandosi sulle lingue romanze, conserva nel lessico la pluriconsonanza ed i suoni cupi delle parlate illiriche (10).
L'italianizzazione del dialetto si marca gradatamente dalla seconda metà del secolo XIX, ma accelera soprattutto dopo la seconda guerra mondiale (11) con l'alfabetizzazione e l'istruzione diffusa. Nell'epoca presente con i mass-media, in particolare audiovisivi, è da presumere che i dialetti scompaiano nel giro di poche generazioni. Di qui l'auspicio, sinché si è in tempo, che possano essere conservati alla memoria storica delle comunità locali su supporti cartacei (dizionari, ecc.) e fonici (nastri magnetici) quali vestigia delle peculiarità comunicative del nostro passato e strumenti di lavoro per studiosi nel campo psicolinguistico-filologico.

Segni particolari introdotti nell'alfabeto.

Accenti.


(1) Usiamo per convenzione la ë russa e la y perché di più immediata efficacia visiva dei suoni onde trattasi.

(2) Si provi a pronunciare qyá, qyé, qyí, qyó, qyú (sordo e sonoro), la y finale non preceduta da vocale assume per convenzione il valore della Й breve russa ovvero un valore quasi muto.

(3) II segno > indica tendenza, non regolarità. Le tendenze del dialetto sono tutte presenti nel sostrato osco-sannitico (campano-molisano) e ligure-siciliano, a loro volta poggianti su parlate illiriche.

(4) In fine di parola > čč (seppia sečč, ristoppia r'stòčč, ecc.)

(5) Tracce numerose di vocaboli greci il lettore le troverà nel dizionario.

(6) In sloveno šel andato si pronuncia šeu, talché sem šel si pronuncia sem šeu, quasi come il nostro song šut sono andato.

(7) Fanno eccezione i prestiti stranieri: bakkalá, k'mó, buffé, ecc.

(8) La metafonia (cambiamento della voce interna) diventa necessaria per mancanza di vocali terminali. Essa, oltre che distinguere il maschile dal femminile, si usa talvolta per differenziare il singolare dal plurale (u vècchy - i vìcchy; ma la vècchy - i vècchy).

(9) Anche in latino il futuro risulta formato da infinito + habeo (cantabo canterò sta per cantare habeo lett. "ho cantare").

(10) Peraltro l'abitudine a "mangiarsi le vocali atone intermedie e finali (abbreviazione delle parole), a semplificare grammatica e sintassi, nonché a riprodurre suoni estranei con altri propri (più facili) - cfr. assimilazioni e mutazioni consonantiche - lascia presupporre l'esistenza di una legge linguistica simile alla legge economica: ottenere il massimo rendimento con il minimo sforzo (costo) articolativo.

(11) Nel 1861, all'atto della proclamazione della cosidetta unità d'Italia, gli italofoni, cioè gli individui che parlavano esclusivamente la lingua italiana, erano poco più di seicentomila (inclusi i quattrocentomila Toscani) su una popolazione che aveva superato i venticinque milioni di abitanti, con una percentuale quindi, del 2,5%. Successivamente, questa percentuale è salita al 4% nel 1911, al 15% nel 1931, al 18,5% nel 1951 e al 30% nel 1960 (da Michele Colabella, Dizionario illustrato bonafrano-italiano, Ed. Amodeo, Milano 1993, Introduzione).

ultimo aggiornamento: 02/2021

e-mail: franco.frascolla(at)gmail.com

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